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Prawo Kanoniczne
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2009
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vol. 52
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issue 3-4
195-214
PL
In primo luogo viene preso in considerazione il principio della libertà dei nubendi. L’Autore prende lo spunto dal can. 219, ma prima di affrontare gli aspetti propriamente giuridici, si sofferma su alcuni elementi dell’accezione antropologica e teologica della libertà nel contesto del consenso matrimoniale. L’ultimo aspetto permette di superare una visione meramente soggettivistica, per quanto riguarda i nubendi, e, d’altro canto, offre una chiave di lettura dello sforzo effettuato lungo i secoli da parte del Magistero della Chiesa nella difesa e nella regolamentazione dello ius connubii. Ne segue la pastorale ordinaria volta all’educazione per un retto esercizio della libertà positivamente intesa dei contraenti. Tornando sugli aspetti prettamente giuridici del principio affermato nel can. 219, l’Autore fa presente la differenza fra i confini del contenuto normativo (volto contro le varie forme di costrizione) e una più ampia ratio legis (protezione della libertà). Passando alla protezione giuridica della libertà, l’Autore esamina le principali figure di nullità del consenso, dovute alla limitazione della libertà in uno dei contraenti: costrizione, mancanza della libertà interna e raggiro. Nella materia della costrizione l’Autore distingue nettamente le figure della violenza (di cui nel can. 125, § 1) e della vis vel metus di cui nel can. 1103 (cf. can. 125, § 2). Maggiore attenzione è stata posta all’evoluzione della disciplina dal Codice Pio-Benedettino e alla sua applicazione giurisprudenziale. Un punto discusso costituisce l’origine della norma. L’Autore si sbilancia in favore del principio dell’operatività della norma ex natura rei (cioè della nullità qualora manchi nel concreto la libertà necessaria, matrimonio proportionata), quindi sostiene l’applicabilità del can. 1103, entro tali limiti, nei confronti dei matrimoni degli acattolici. La mancanza della libertà interna è presa in considerazione nel contesto dell’incapacità consensuale, in particolare della mancanza della discrezione di giudizio. Viene accennata qui la questione dell’autonomia, o meno, del capo di nullità ob defectum libertatis internae (l’Autore condivide, implicitamente, la dominante posizione giurisprudenziale, contraria a tale autonomia). Per quanto riguarda la decezione dolosa, la tutela della libertà dei nubendi è considerata come principale ratio del can. 1098. Viene brevemente delineata la specificità di questo tipo di errore qualificato. Soffermandosi sui limiti dell’applicabilità del can. 1098, l’Autore sostiene che seppure la ratio legis del can. 1098 affonda le radici nel diritto naturale, tuttavia la ratio nullitatis è riconducibile alla volontà del Legislatore. Di conseguenza, il can. 1098 è da ritenere di diritto meramente positivo e, in quanto tale, non è applicabile retroattivamente, né può essere fatto valere nel caso dei matrimoni celebrati al di fuori dell’ordinamento giuridico canonico indipendentemente dalla loro data. Invece nel caso di un errore sostanziale causato dal dolo, la nullità è operante indipendentemente dalla decezione dolosa, quindi andrebbe rilevata a livello processuale sotto il capo di quel particolare errore sostanziale. La promozione della libertà responsabile avviene soprattutto sullo sfondo dell’accezione teologica della libertà con la quale si coniuga l’accezione antropologica, soprattutto quella della “libertà per” che postula l’autodeterminazione nel consenso matrimoniale. L’incapacità o l’impossibilità di una tale autodeterminazione viene riconosciuta dal Legislatore proteggendo indirettamente la libertà consensuale nei cann. 1095, n. 2, e 1103; mentre la libertà dei nubendi è ulteriormente protetta contro il raggiro nei limiti stabiliti nel can. 1098.
Ius Matrimoniale
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1999
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vol. 10
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issue 4
7-28
EN
Sullo sfondo delle note Allocuzioni di Giovanni Paolo II alla Rota Romana negli anni 1987 e 1988, in cui uno dei temi centrali è stata la questione dei presupposti antropologici come elemento indispensabile di un retto dialogo fra il giudicee i periti psicologi - psichiatri, L'A. ha delineato nell’introduzione l'oggetto dello studio, relativo alla questione di rilevanza (o meno) della visione antropologica del matrimonio all’interno del sistema del diritto canonico. Più precisamente, venne posta la questione fino a che punto gli elementi antropologici, formulati anche nella cost. Gaudium et spes, possano avere incidenza nei processi di nullità matrimoniale. Nella prima parte dell’articolo viene segnalata la difficoltà metodologica nella determinazione dei contenuti antropologici, validi nella materia dei consenso matrimoniale. L'A. cerca di individuare i criteri formali, validi per una cernita dei contenuti elaborati nelle differenti antropologie (filosofica, teologica), con particolare indicazione del metodo trascendentale di Lonergan, adoperato da L. M. Rulla nella costruzione di una antropologia interdisciplinare. Nella seconda parte L'А. segnala la presenza degli elementi di natura antropologica all’interno di alcuni canoni del De matrimonio del CIC (in particolare nei cann. 1055 § 1, 1057 § 2) e quindi cerca di precisare la loro funzione nel testo legislativo tenendo soprattutto conto di due elementi caratteristici della legge canonica, ossia della sua finalità specifca e obbligatorietà. La terza parte affronta direttamente il problema. L’esposizione è svolta attomo alle seguenti questioni specifiche: a) la relazione fra il ≪ foedus≫ e ≪ contractus≫. L’ A. accetta il concetto del matrimonio integralmente inteso (foedus), tuttavia la struttura giuridica del matrimonio viene definita in sintonia con la teoria contrattualistica; b) la validita (о nullità ) del consenso matrimoniale come categoria giuridica; c) la funzione delle presunzioni che stanno alla base del CIC nella materia matrimoniale e in particolare delle presunzioni dette hominis formulate dal giudice. Mentre le prime considerano la nullità del matrimonio come eccezione, le altre sono soggette ad un’evoluzione giurispmdenziale, rispecchiando la realtà umana concreta; d) l’antropologia è la norma applicata nel foro canonico. In primo luogo l'A. Fa presente che l’interpretazione della legge a modo di sentenza giudiziale deve tener conto del fatto che le esigenze antropologiche non sono esterne alla legge in quanto per opera della revisione del CIC sono calate nelle nuove norme, sia di diritto sostantivo che processuale. D’altro canto il giudice ecclesiastico, per poter correttamente applicare il diritto, non può non condividere quella visione antropologica del matrimonio che ha il Legislatore. In questo modo è stato posto sia il problema degli elementi antropologici esistenti all’interno del sistema del diritto matrimoniale canonico, come la susseguente „canonizzazione” legislativa delle constatazioni antropologiche. Di conseguenza l'А. ha cercato di determinare quanto quegli elementi siano rilevanti in materia di eventuale nullità del consenso matrimoniale. La proposta soluzione ridimensiona il problema, risolvendolo piuttosto nel campo dell’ interpretazione della legge, ma ammette pure la legittimita di una valenza diretta, bensi secondaria, delle esigenze di natura antropologica.
Ius Matrimoniale
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2006
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vol. 17
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issue 11
7-18
EN
E il testo di una conferenza in cui l’Autore e stato chiamato a rispondere alla domanda «Visione del matrimonio: contrattualistica o personalistica?». Il sottotitolo specifica ulteriormente la questione, ponendola nella prospettiva delle cause di nullita matrioniale.L'Autore dapprima espone brevemente sia la visione contrattualistica del matrimonio sia quella personalistica, passando poi a valutazioni personali, nelle quali indica i limiti di ambedue concettualizzazioni. Vengono formulati inoltre alcuni postulali di natura metodologica. Rispondendo infine alla domanda iniziale, l’Autore formuła una risposta differenziata, in cui sostiene che sono possibili diverse visioni del matrimonio, purchè formalmente corrette. In concreto ne propone tre in base alla fmalita della loro applicazione: a) la visione pesonalistica, che pone in evidenza le potenzialità del matriomonio; b) la visione consensualistica, utile particolarmente nell’applicazione forense canonica; c) la visione del consenso come atto giuridico, adatta ai fini di un’ulteriore riflessione speculativa, aperta alle più ampie categorie del diritto.
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