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PL
Dostojewski w swojej twórczości, poprzez losy bohaterów, stara się pogłębić obecną w tradycji rosyjskiej ideę, że „wszyscy są odpowiedzialni za wszystkich”. Jest rzeczą powszechnie znaną, że misterium zła obecnego w świecie i próba jego usprawiedliwienia osiągają w powieściach Autora niezwykły klimat dramatu. Problem cierpienia niewinnego, który zostaje poruszony przez Iwana, jak i problem cierpienia zawinionego, Dostojewski stara się rozwiązać poprzez ideę odpowiedzialności „za wszystko i za wszystkich”, czyli powszechnej winy i uniwersalnej solidarności w poniesieniu winy. A zatem społecznego wymiaru grzechu: zgrzeszywszy, każdy człowiek zgrzeszył już wobec wszystkich i każdy człowiek, choćby w czymkolwiek, jest winien cudzemu grzechowi. Najlepiej odnotowujemy to na przykładzie Dmitryja, który, jako niewinny, z pełną świadomością wyraża zamiar poniesienia ciężaru innych w odpokutowaniu nie popełnionej winy: „Ponieważ wszyscy są za wszystkich odpowiedzialni, także i małe, i duże dzieci, za wszystkich pójdę, ponieważ musi przecież ktoś pójść za wszystkich, Nie zabiłem ojca, ale powinienem pójść. Przyjmuję”. Dostojewski wyraża zatem w losie Dmitrija, jednego z bohaterów powieści „Bracia Karamazow”, ideę solidarności uniwersalnej w poniesieniu winy. Tylko Bóg jeżeli cierpi, to cierpi niewinnie. Dlatego na szczycie tej nowej skali wielkości stoi Jezus Chrystus, „Baranek bez zmazy", który, choć nie popełnił żadnego grzechu, cierpiał za wszystkie winy, „a Pan zwalił na Niego winy nas wszystkich” (Iz 53,6). Wszystkie cierpienia człowieka, także cierpienie niewinne, zostały objęte i przemienione zbawczym cierpieniem Chrystusa
IT
Il problema della sofferenza, soprattutto quello delle creature vulnerabili ed innocenti, emerge immancabilmente nella sua drammaticità tutte le volte in cui si prende in considerazione la presenza del male nel mondo e si cerca la giustificazione nell’agire di Dio di fronte ad esso. Ivan ne I fratelli Karamazov, nella ricerca della risposta a tali interrogativi, non ammette la sconfitta dell’intelletto per cui afferma che non si può vivere in un mondo in cui domina la sofferenza immeritata e il male. Dostoevskij in Ivan mostra, che quando non si comprende o piuttosto non si vuole comprendere che anche il mistero della sofferenza dei bambini non si spiega razionalmente, ma si accetta nella fede, tale sofferenza risulta essere strumentalizzata esclusivamente per i piani superiori di Dio. In questo caso, indubbiamente, senza l’aiuto della fede, si risale alla ribellione. L’armonia universale non è fondata sulle lacrime dell’umanità, ma sul mistero della sofferenza del Bene innocente. La sofferenza inutile dei bambini a causa della sua strumentalizzazione per l’armonia eterna è diventata per Ivan una pietra di scandalo. Ciò che Ivan non comprende, il mistero dell’Unico innocente che non è venuto a spiegare il male, ma ad assumere su di sé il male del mondo tutto intero, trova la risposta in Dmitrij, la risposta che converte lo scandalo in espiazione. L’unica risposta, secondo Dostoevskij, che può essere data a Ivan e ai seguaci della sola intelligenza umana, non può essere che quella del Cristo sofferente, espressa dallo scrittore russo tramite Alëša. Senza il Cristo, il Redentore, che fornisce l’unica risposta possibile ed esauriente, ogni tentativo della ragione umana già a priori è destinato a fallire. Il Redentore invece di dare una spiegazione ha voluto caricare tutto il dolore sulle proprie spalle. Solo la sofferenza di Dio può essere data come una risposta al problema del dolore, perché essa contrappone alla sofferenza inutile il vero scandalo della sofferenza del Redentore.
PL
WSTĘP. 1. WYMIAR ANTYNOMICZNY PIĘKNA. 2. „IKONICZNOŚĆ” CZŁOWIEKA. 3. CHRYSTUS ŹRÓDŁEM PIĘKNA. ZAKOŃCZENIE.
IT
Con notevole frequenza viene citata la frase Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Il grande autore russo pensa alla bellezza redentrice di Cristo. Non è facile comunque definire la bellezza in Dostoevskij, soprattutto per l’indecifrabile enigma nascosto nelle sue piaghe. Lo scrittore rende ben evidente l’antinomicità della bellezza: la bellezza è sede probabile della salvezza redentrice, ma anche causa di cadute e passioni; principio della stabilità ontologica dell’essere, ma anche causa di distruzione dell’uomo. Dmitrij è la figura che rappresenta la mescolanza del bene e del male in maniera esemplare di tutta la concezione dostoevskijana. In Dmitrij, che è in lotta continua tra l’ideale della Madonna e l’ideale di Sodoma, Dostoevskij descrive l'antinomicità della bellezza. È evidente che Dmitrij è capace di innalzarsi fino all'ideale celeste della Madonna, così come è capace di lasciarsi degradare dalla potenza infernale di Sodoma. Dostoevskij, attraverso la figura di Dmitrij, mette in risalto che sarebbe errato cercare di esaminare la bellezza che apparirà nei suoi personaggi sia in quelli più buoni che in quelli meno buoni, soltanto da un punto di vista estetico. La pienezza della bellezza per Dostoevskij risiede nel Verbo incarnato. Per questo i suoi personaggi positivi, attraverso la bellezza spirituale, possono essere definiti «iconici», perché nel concetto di Dostoevskij diventano trasparenza della divina bellezza. La persona “deificata” fa trasparire nel suo e attraverso il suo essere il volto del Cristo, la pienezza della bellezza di Dio. Non è difficile notare con quale fervore lo scrittore parla della funzione rivelatrice del Verbo incarnato, il Cristo per lui è la Parola eterna di Dio (Gv 1,1); è il Verbo di Dio fatto carne (Gv 1,14), che manifesta visibilmente Dio nella sua umanità, espressione della divinità. Solo la deificazione dell’uomo consente di fare il cammino evangelico nello spirito verso la ricerca e la conoscenza della Veritatis Splendor. Solo nel Cristo la bellezza ritrova il suo volto autentico, l’immagine perfetta di Dio e la ricchezza della bellezza in sé. Per Dostoevskij, quindi, non sarà la bellezza estetica a salvare il mondo, ma la bellezza salvifica.
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