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Prawo Kanoniczne
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2011
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vol. 54
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issue 1-2
43-75
IT
La Congregazione per il Clero ha pubblicato il 18 aprile 2009 la lettera circolare indirizzata agli ordinari diocesani, informando su tre facoltà speciali che sono state concesse dal papa Benedetto XVI alla Congregazione stessa il 30 gennaio 2009. Queste facoltà riguardano la riduzione allo stato laicale di quei sacerdoti che si macchiassero di colpe particolarmente gravi o hanno abbandonato il loro ministero senza chiedere la riduzione allo stato laicale. Successivamente questo dicastero ha provveduto, il 17 marzo 2010, a inviare la seconda lettera a tutti gli ordinari, trasmettendo in allegato „le linee procedurali per la trattazione dei casi in oggetto, unitamente all’elenco dei documenti necessari al completamento dell’istruttoria nella fase locale”. Tra le facoltà speciali concesse dal Papa alla Congregazione per il Clero figura, innanzitutto, la facoltà di trattare i casi di dimissione dallo stato clericale „in poenam, con relativa dispensa da tutti gli obblighi decorrenti dall’ordinazione, di chierici che abbiano attentato al matrimonio anche solo civilmente e che ammoniti non si ravvedano e continuino nella condotta di vita irregolare e scandalosa; e di chierici colpevoli di gravi peccati esterni contro il sesto comandamento”. La seconda facoltà concede alla Congregazione autorità di intervenire „per infliggere una giusta pena o penitenza per una violazione esterna della legge divina o canonica”; mentre in casi veramente eccezionali e urgenti, e di mancata volontà di ravvedimento da parte del reo, si potranno anche infliggere „pene perpetue, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, qualora le particolari circostanze lo richiedessero”. Infine, la terza facoltà riguarda la dichiarazione della perdita dello stato clericale per i chierici che abbiano abbandonato il ministero „per un periodo superiore ai cinque anni consecutivi, e che persistano in tale assenza volontaria e illecita dal ministero”. Queste facoltà non sostituiscono l’attuale normativa sulla perdita dello stato clericale stabilita dal can. 290 CIC, va vanno incontro – come ha spiegato nella radio vaticana il Card. Claudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero – alle „molte nuove situazioni alle quali la legge canonica non era in grado di dare adeguate risposte”. In questi casi, quando esiste la comprovata impossibilità di presentare da parte del sacerdote la richiesta per ottenere la dispensa dagli obblighi dello stato clericale e anche esistono gravi difficoltà nella celebrazione di un processo penale giudiziale, gli stessi ordinari possono avviare il processo amministrativo nei confronti di questi sacerdoti, salvo il loro diritto di difesa che deve essere sempre garantito. Però l’applicazione di questa procedura amministrativa non è automatica, ma deve essere approvata dalla Congregazione.
Prawo Kanoniczne
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2010
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vol. 53
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issue 1-2
105-128
PL
Uno tra i doveri della vita religiosa si riferisce all’obbligo di residenza nella propria casa religiosa nella quale i membri della comunità osservano la vita comune dell’istituto. L’oggetto proprio della norma canonica del can. 665 § 1 è la permanenza abituale del religioso nella propria casa religiosa. Tuttavia, per esigenze dello stesso istituto, come pure per motivi personali, il religioso può assentarsi dalla propria casa religiosa, però con l’autorizzazione del competente superiore. Questo allontanamento potrebbe essere trattato come una semplice uscita quotidiana, o può diventare una vera assenza di breve termine, o un’assenza prolungata. Tutte queste uscite quotidiane per ragioni tanto ministeriali, quanto personali, devono essere regolate dai superiori locali, non dai superiori provinciali, per mezzo di permessi concessi secondo le usanze della rispettiva comunità, che possono essere ad actum o abituali, espressi o taciti, o anche impliciti e presunti. Il diritto comune, dopo aver stabilito l’obbligo di risiedere nella propria casa di assegnazione, determina che spetta al superiore maggiore, con il consenso del suo consiglio, concedere, per una giusta causa, a un religioso, di vivere fuori delle comunità dell’istituto (“extra domum instituti”) per un tempo che non superi la durata di un anno, a meno che non si tratti di malattia del religioso, tempo dei suoi studi, o di apostolato svolto in nome dell’istituto. È da osservare il fatto che la suddetta norma del diritto comune fa tacitamente una distinzione tra assenza prolungata dalla propria casa per dimorare in un’altra casa dell’istituto, dall’assenza prolungata dalla casa dell’istituto in genere. Considerando che il primo tipo di assenza non viene contemplato dal diritto comune, il diritto proprio potrà stabilire norme applicative più particolareggiate. Il superiore maggiore, con il consenso del proprio consiglio, può concedere, a norma del can. 665 § 1, la licenza di assenza dalla casa dell’istituto per un periodo superiore a un anno per motivo di malattia, di studio o di apostolato svolto a nome dell’istituto.
Prawo Kanoniczne
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2009
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vol. 52
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issue 3-4
91-115
PL
Il passaggio a un altro istituto è uno dei primi modi previsti dal can. 684 del Codice del 1983, con cui avviene la separazione di un religioso dal proprio istituto. Essa viene prospettata dal legislatore in tre ipotesi: - passaggio da un istituto religioso a un altro; - passaggio da un monastero “sui iuris” a un altro sempre “sui iuris” dello stesso istituto, o federazione, o confederazione; - passaggio ad un istituto secolare o una società di vita apostolica, o viceversa. Il passaggio del religioso, però, non interrompe l’appartenenza allo stato religioso, ma cambia solo lo specifico della sua vocazione. I voti emessi nell’istituto di provenienza rimangono, ma con il passaggio definitivo devono essere osservati secondo le regole e il carisma del nuovo istituto. Il passaggio del religioso ad un altro istituto consiste solo nel fatto della perdita della sua incorporazione o iscrizione nell’istituto d’origine, con i relativi diritti e doveri, a favore dell’acquisto della nuova incorporazione, comprese tutte le sue conseguenze, nel nuovo istituto dopo aver emesso di nuovo la professione a norma del diritto. Il passaggio può essere determinato da varie cause. Il motivo può constare nella ricerca da parte del religioso di un’attuazione più piena e perfetta della sua vocazione, che si realizza nella volontà di Dio. Gli altri motivi del passaggio potrebbero essere: la debolezza fisica o psicologica, che non permette di affrontare la vita austera di un istituto, o la possibilità di vivere in maniera più piena la propria consacrazione in un altro istituto che abbia uno stile di vita più sensibile alle caratteristiche della persona. Purtroppo ci sono anche quelle causate da un malcontento dovuto a contrasti con i propri superiori, o l’inadattabilità alle costituzioni e regole. L’oggetto del presente studio consta nella descrizione delle tre summenzionate ipotesi del passaggio, degli elementi fondamentali della loro procedura e infine degli interventi dei competenti superiori.
Prawo Kanoniczne
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2010
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vol. 53
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issue 3-4
83-111
PL
Il can. 1176 §1 dell’attuale CIC afferma che ai fedeli defunti vanno rese le esequie ecclesiastiche a norma del diritto. Si può dunque parlare di un vero diritto del fedele alle esequie cattoliche, di cui non può essere privato se non nei casi previsti dalla normativa del can. 1184. Essa indica alcune circostanze in base alle quali un cattolico è privato delle esequie ecclesiastiche, a meno che non abbia dato alcun segno di pentimento prima della morte. Fra queste abbiamo l’apostasia, l’eresia o lo scisma notori. Altre circostanze riguardano non tanto la professione di fede, quanto comportamenti che contraddicono la vocazione cristiana, tali da far ritenere le persone come peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli. Oltre queste situazioni ben definite dal Codice ci sono nel mondo di oggi le situazioni particolari che potrebbero sorgere il dubbio sull’opportunità della celebrazione delle esequie ecclesiastiche. Nell’articolo si è riferito ad alcuni casi problematici: i fedeli coinvolti in situazioni matrimoniali irregolari, i suicidi, l’eutanasia, i bambini morti prima di essere battezzati, i bambini nati morti o i feti abortivi. Si è cercato di indicare gli atteggiamenti da adottare in questi casi e nei confronti dei famigliari del defunto per non creare tensioni profonde all’interno della comunità cristiana.
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