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Il testo sacro parte dalla costatazione che l’uomo in quanto peccatore ha bisogno della conversione ossia è chiamato a riconoscere di aver bisogno del perdono per le mancanze, imperfezioni, infedeltà e cioè per i peccati commessi. La conversione è questione della verità e dell’onestà. Non è poi da trascurare il fatto dell’universalità della coscienza umana in cerca del perdono e della riconciliazione con la divinità. I testi egizi, mesopotamici, ugaritici, greci e romani confermano in misura notevole quel desiderio innato della pace con il Divino e quindi del perdono dei propri torti. Più della civiltà naturale, quella rivelata ne dà non solo testimonianza ma anche le ragioni teologiche: Dio d’Israele è non solo un Essere Assoluto, ma anche una Persona santa e morale, quindi dalle creature fatte a Sua immagine e somiglianza esige un comportarsi conforme al Suo agire. Per il fatto che Israele è stato scelto Suo popolo eletto, rimane soggetto alla debolezza e alla infedetà, ma è proprio per questa circostanza chiamato alla conversione continua e in seguito darne un esempio di speranza e garanzia di esito per gli altri popoli. Le pratiche penitenziali, gli atti di conversione nell’Antico Testamento sono sparsi lungo il testo intero, vuol dire che la conversione accompagna tutte le tappe della storia della salvezza, e non può essere diversamente. Dio continuamente chiama il Suo popolo a convertirsi per bocca dei profeti, per mezzo della Parola di Dio che manda ai figli diletti ma così spesso ribelli. Il popolo e i suoi singoli membri rispondono in spirito di ubbidienza e di riconoscenza della verità „tutti abbiamo peccato, ci siamo comportati da sciocchi” (cfr Ger 14, 20; Dn 3, 29). Il rito penitenziale sia quello privato che communitario nell’AT risulta molto sviluppato e ricco. Le principali manifestazioni sono: preghiera, confessione dei peccati, digiuno, elemosina, il Giorno della Riconciliazione ( Yom Kippur ), diversi sacrifici cruenti, gesti, vestiti, pianto, cospargersi con la cenere, abluzioni (praticate specialmente dai farisei e a Qumran). Non di rado i profeti accusano il formalismo di quelle pratiche d’altronde impressionanti e ricche di significato. Quale valore hanno avuto quelle praciche in quel tempo quando non c’era ancora il sacramento della riconciliazione? Soprattutto il valore della verità stessa: l’uomo in quanto tale è peccatore il che in lingua biblica vuol dire che ha bisogno di Dio per vivere, per esistere e per agire in conformità con il Suo disegno; poi vuol dire riconoscere Dio quale giudice delle proprie azioni dell‘uomo; in terzo luogo vuol dire che le pratiche penitenziali anticotestamentarie dimostrano l’altissimo livello della spiritualità d’Israele. Infine vuol dire riconoscere Dio in quanto misericordioso, buono e giusto, generoso nel perdonare e pronto nel riconciliarsi con gli uomini – figli ribelli mandando loro il Suo Figlio Unigenito in quanto Agnello immolato e Testimone della misericordia del Padre.
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